EXHIBITION

Tsibi Geva: Recent and Early Works

Museo d’Arte Contemporanea Roma , Lazio, Rome, 05/30/2014 - 09/14/2014

ABOUT

La mostra al MACRO Testaccio, sostenuta dall’Ambasciata d’Israele in Italia – Ufficio Culturale e dalla Fondazione Italia-Israele per la Cultura e le Arti, prende le mosse dalla personale che l’artista ha presentato all’American University Museum di Washington nel 2013, e che andrà al Mönchehaus Museum di Goslar nel 2015 (Tsibi Geva. Paintings 2011-2013, a cura di Barry Schwabsky).

 

L’esposizione romana, a cura di Barry Schwabsky e Giorgia Calò, raccoglie circa trenta dipinti, alcuni di grandi dimensioni. Sono opere degli anni Ottanta, nonché la sua ultima produzione, a cui si affiancano una grande installazione in ferro e un graffito realizzato site specific per questa occasione. L’opera di Tsibi Geva, uno dei più importanti artisti israeliani contemporanei, amalgama motivi e immagini tratti dall’ambiente circostante, israeliano e palestinese: paesaggi, architetture e frammenti urbani.

 

Il lavoro presenta una miscela, una fusione di diverse matrici culturali, etniche e politiche che creano rapporti dialogici e contemporaneamente esprimono, in toni accesi, tensioni e conflitti profondi e cruenti.

Epicentro della mostra sono i quadri creati da Geva in questi ultimi anni. Sembrano turbini selvaggi, in cui vorticano frammenti di membra umane, scene di sesso, elementi vegetali, uccelli e pezzi di oggetti come keffiyah palestinesi e piastrelle.

“Escalation selvaggia”, così Barry Schwabsky definisce questi quadri. “La testa ci gira, sentiamo la terra tremarci sotto i piedi, il pavimento non è più un terreno stabile a cui affidarsi”. Oltre a un’angoscia esistenziale, nei dipinti è insito anche un “attacco al disegno”, una “rottura dell’ordine” e il tentativo di sconvolgere le logiche del linguaggio, dello stile e degli elementi fondamentali dell’arte figurativa. Il contrasto fra me e l’altro, che generalmente si riferisce all’arena politica, qui si traduce in una lotta interiore nell’animo dell’artista: Je est un autre, come ha scritto Rimbaud.

 

La mostra è costruita come un’enorme installazione in cui i lavori si inseriscono in relazione e reazione all’architettura e all’“accumulo di memorie”.

Lungo una parete dello spazio espositivo si stagliano grandi inferriate tridimensionali della serie Lattices. Questo gruppo di sculture fa riferimento ai modelli e agli schemi tipici del tardo modernismo e dell’epoca post moderna, come anche alle versioni popolari e alla cultura di strada improvvisata caratteristica dell’urbanesimo israeliano. Le inferriate s’intersecano, riecheggiano i dipinti murali, i graffiti recanti il motivo della keffiyah o della barriera, centrali in tutta la poetica di Geva, rivelando un’indagine sulle forme e le strutture di base della coscienza: frontiere, blocchi, carcerazioni. Come spiega Giorgia Calò: “Geva lavora sugli interstizi, su quegli spazi significativi, fisici e mentali, che se per certi aspetti sono volti a creare una relazione e un dialogo, per altri ne marcano la distanza”.

Anche le opere precedenti presenti nella mostra, risalenti agli anni Ottanta, possono fornirci chiavi concettuali per questo mondo d’immagini e per il costante interesse nei confronti dei simboli identitari e dei conflitti culturali, a partire dalle parole, in ebraico e in arabo, che compaiono spesso nei dipinti.

 

La collocazione spaziale e l’ambiente mentale costruiti da Geva “aggrediscono” il visitatore e provocano il suo coinvolgimento emotivo portandone a galla le ansie ed esprimendo una visione del mondo dura, dilaniata, sconcertante e piena di dubbi.

“Geva non abbellisce questo luogo, non lo idealizza” scrive Barry Schwabsky, “ne copia e ricopia gli emblemi presentandolo (a noi e a se stesso) come duro, rude, difettoso, inerte, intransigente, spinoso… eppure persevera, ostinato, e tramite questa ostinazione cerca di rappacificarsi con il luogo così com’è”.

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